Il Castello di Castrocaro Storia e tecnica di una terra di confine - PREMESSA

Il Castello di Castrocaro Storia e tecnica di una terra di confine - PREMESSA

A distanza di circa trent’anni dalla pubblicazione del nostro primo lavoro sulla fortezza di Castrocaro, abbiamo sentito l’esigenza di rimettere mano a quella breve trattazione per ampliarla in ragione del cospicuo materiale d’archivio ritrovato nel frattempo e a seguito delle più recenti indagini effettuate sul campo. Dall’elaborazione di tutte queste nuove informazioni sono conseguite una serie di idee e considerazioni innovative meritevoli, a nostro avviso, di essere divulgate.
Quando ci accingemmo a scrivere questo saggio, l’intento era innanzitutto quello di approfondire e rendere più organico e nitido il millenario passato del nostro castello, per cui, assecondando i nostri studi e la nostra formazione, progettammo di dare all’opera un taglio prettamente storico.
All’inizio avevamo a disposizione solo poche testimonianze bibliografiche e documentali, mentre poco o nulla sapevamo delle vicende strutturali del castello; la storiografia precedente riguardante il nostro castello si componeva, infatti, solo di alcune pubblicazioni datate, spesso carenti o inattendibili.
Il primo a scrivere di storia locale fu Carlo Frassineti che nel 1884 diede alle stampe un libretto intitolato Raccolta di fatti storici riguardanti il paese di Castrocaro, un opuscolo essenziale e senza pretese di originalità nel quale sono riportate notizie tratte dalle opere dei maggiori storici forlivesi e fiorentini.
Più ambiziosa e di maggior respiro è certamente la Illustrazione storica dell’antico castello di Castrocaro edita nel 1889 dall’abate Giovanni Mini il quale però, da figlio del suo tempo quale era, inventò di sana pianta gran parte di quanto scrisse, confermando a pieno l’opinione degli storiografi moderni che etichettano l’Ottocento come il “secolo bugiardo”.
Certamente più utile e di maggiore affidabilità è la Guida di Castrocaro che Antonio Sassi pubblicò nel 1921. Questo libretto, pur manifestando i limiti di una guida turistica a tutti gli effetti, mostra tuttavia quanto il Sassi sia stato scrupoloso nella ricerca e attento nel rilevare e tramandare le testimonianze del nostro passato.
A noi contemporaneo è invece Giuseppe Mengozzi al quale dobbiamo alcune interessanti pubblicazioni sulla storia e sul folclore della nostra comunità. La prima di queste in ordine cronologico è Cronache di Castrocaro e dintorni apparsa nel 1979 che è, come annuncia il titolo, una raccolta acritica di notizie frutto di una sommaria ricerca fra antiche cronache locali e fondi d’archivio. Purtroppo, la mancanza di verifica e confronto delle fonti riportate rende queste cronache utilizzabili solo cum grano salis, soprattutto per quanto riguarda i secoli più remoti. Al Mengozzi va comunque riconosciuto il merito di aver dato il via, con la sua passione e il suo compassato entusiasmo, a una stagione di interesse per la storia locale che perdura tuttora e che ha visto catalizzarsi attorno all’argomento singole persone e associazioni come mai era accaduto in precedenza.
Negli ultimi anni di questa nostra ricerca, dopo aver acquisito consapevolezza della complessa opera svolta a Castrocaro dal grande architetto cinquecentesco Giovan Battista Belluzzi da San Marino, abbiamo avuto l’opportunità di entrare in contatto e di collaborare con Daniela Lamberini, professore associato di restauro architettonico presso la facoltà di Architettura dell’Università di Firenze e massima conoscitrice del Belluzzi. Oltre alla sua insostituibile esperienza, della quale spesso ci siamo avvalsi, la Lamberini ci ha messo a disposizione la sua vasta bibliografia permettendoci di focalizzare un periodo cruciale nella storia del nostro castello, il ché ha generato una sorta di effetto domino che ci ha consentito di datare e attribuire per comparazione tante altre strutture.
Sulla base dei suddetti contributi, per colmare almeno in parte i tanti vuoti cognitivi che rimanevano, oltre ad aver intensificato la ricerca archivistica, abbiamo iniziato anche a esaminare sistematicamente le murature perché molto presto ci siamo resi conto che la nostra priorità doveva diventare quella di tracciare un quadro quanto più possibile puntuale dello stato strutturale del castello così come si presentava negli ultimi decenni del secolo scorso, cioè prima che trasformazioni urbanistiche e discutibili restauri ne cancellassero per sempre l’assetto originale.
Non abbiamo comunque voluto rinunciare a un capitolo iniziale dedicato espressamente alla storia politica e militare del castello che abbiamo cercato di rendere più originale privilegiando la citazione di documenti inediti, facendo supposizioni sugli insediamenti preesistenti alle prime strutture fortificate e inserendo anche un breve excursus su una nuova ipotesi riguardante il toponimo di Castrocaro.
Nell’economia dello studio grande rilievo assume il ragguardevole numero di documenti d’archivio esaminati, in gran parte inediti, che trovano puntuale riscontro nelle note a piè di pagina; in appendice ne abbiamo potuti riportare solo pochi, quelli più significativi o che ricorrono più di frequente nel testo, perché allegarli tutti sarebbe stato complicato dal punto di vista editoriale e tutto sommato anche inutile ai fini della trattazione. Abbiamo incluso, invece, una bibliografia completa dei testi consultati che potrà senz’altro risultare utile per chi volesse in futuro approfondire l’analisi.
Lo scritto è poi integrato da una consistente documentazione fotografica che costituisce uno strumento complementare piuttosto efficace per l’inquadramento della descrizione.
Il grosso della ricerca si è però indirizzato verso un’analisi globale delle strutture fortificate, con maggior attenzione per quelle realizzate in epoca fiorentina, periodo in cui Castrocaro assunse particolare importanza come avamposto di confine proteso verso la pianura romagnola e il mare Adriatico.
La nostra trattazione si conclude, pertanto, con il completo disarmo della Fortezza avvenuto nella seconda metà del Seicento, quando la Toscana granducale, grazie allo stabilizzarsi dell’intricata situazione politica internazionale, superò definitivamente il timore delle aggressioni esterne.
La maggior parte delle indagini si è dunque svolta in situ incontrando da principio non poche difficoltà.
L’ostacolo maggiore con cui abbiamo dovuto fare i conti è stata la storia istituzionale dell’architettura militare, quella delle università e dell’Istituto Italiano dei Castelli, basata essenzialmente sullo studio dei grandi trattatisti del passato e su modelli strutturali ben distinguibili e pienamente evoluti. Questa disciplina mal si declina in realtà periferiche e articolate come la nostra dove prevalgono gli adeguamenti strutturali e le sperimentazioni giovanili di architetti non ancora affermati e maturi.
Per rendere un’idea della complessità delle fortificazioni di Castrocaro e dare la misura del lavoro fatto e di quanto ancora ne resti da fare per giungere a un’analisi compiuta, basti pensare che il castello al culmine della sua evoluzione, cioè verso la metà del Cinquecento, era dotato di cinque cerchi di mura, di ben 21 porte, comprese quelle di soccorso, di 27 torri, 4 bastioni e 2 baluardi: un vero paradigma dell’architettura fortificata che va dall’alto medioevo a tutta l’età moderna.
Volendo riassumere a grandi linee il contributo che questo studio porta alla conoscenza del castello, accenniamo brevemente a quelli che sono stati i maggiori risultati conseguiti con le nostre ricerche.
Per prima cosa, abbiamo definitivamente fatto luce sulla funzione e l’utilità del Muro Nuovo; attribuito in precedenza ad Antonio da Sangallo, oggi sappiamo con certezza che è opera del Belluzzi grazie all’abbondante documentazione ritrovata che ci permette di seguirne l’evoluzione dal 1544 fino al 1554, anno della morte del suo ideatore e artefice. Da allora questa struttura restò incompiuta e tale rimase fino al suo recente e sconsiderato restauro che ha ricostruito ciò che non esisteva e che forse nemmeno il Belluzzi aveva mai immaginato di realizzare. Degli ambienti ottenuti con la costruzione di questa muraglia si è detto che sarebbero stati alloggiamenti per una batteria di cannoni posta a difesa del versante meridionale del castello, poi si è pensato che potessero essere magazzini e infine li si è riconosciuti come gli arsenali della fortezza. Nulla di tutto questo! Basta leggere attentamente le carte e le piante del Belluzzi per comprendere che il suo unico scopo fu quello di creare un fianco a difesa della Porta dell’Olmo che fosse abbastanza ampio e capace di alloggiare artiglierie di vario calibro a un livello sufficientemente basso da consentirne l’uso ottimale. Il Belluzzi non accenna mai ai volumi coperti che si erano creati con la costruzione del Muro Nuovo, né al loro eventuale utilizzo, semplicemente se ne disinteressa e li etichetta come “voti” (vuoti), segno evidente che questi erano per lui solo il risultato di un progetto che mirava a un fine tattico ben preciso che non era certo quello della creazione di nuovi ambienti.
Abbiamo poi studiato, datato e attribuito un altro grande corpo di difesa della Murata: il Bastione del Sangallo. Questa complessa struttura, sorta a difesa della Porta di Ferro (oggi Porta San Giovanni) e della via di Porta dell’Olmo, ebbe un iter costruttivo piuttosto travagliato. I lavori iniziati da Antonio da Sangallo probabilmente nel 1527, subirono una lunga sospensione a causa dell’assedio di Firenze che portò nel 1530 alla caduta della Seconda Repubblica. In quell’occasione il Sangallo fu richiamato in città per sovrintendere al consolidamento delle mura, intervento che assorbì ogni attenzione e disponibilità finanziaria dello stato. Successivamente, dopo la breve reggenza del duca Alessandro de’ Medici, tutte le maggiori fortezze caddero in mano spagnola per cui ogni opera di aggiornamento fu sospesa fino alla loro restituzione avvenuta nel 1543. Tuttavia, i tempi di completamento del bastione si protrassero almeno fino al 1556, anno in cui Bernardo Buontalenti riferisce in una sua missiva di opere ancora in corso in questo corpo di difesa. I lavori per il completamento di questo bastione durarono, quindi, almeno trent’anni, ma il risultato fu una struttura difensiva di grande interesse storico e architettonico, degno senza dubbio di essere esaminato più approfonditamente e recuperato quanto prima.
Molto più complessa si è rivelata l’identificazione del bastione settentrionale della Murata a causa dei ripetuti sconvolgimenti che il terreno su cui sorgeva ha subito nel corso dei secoli. Fu realizzato verso la metà del Cinquecento “bastionando” con tronchi di quercia, fascine di salice e terra il saliente che si forma all’incontro della cortina settentrionale con quella orientale della Murata. All’origine di questa opera sta un evento accidentale: il crollo di un pezzo del costone roccioso sul quale era poggiato un tratto di cortina della Murata avvenuto nel febbraio 1554. Avutane immediata notizia, il duca Cosimo I ordinò che al danno si ponesse subito riparo, ma il cantiere si protrasse, con grande pregiudizio della sicurezza castellana, fino al 1556. Il risultati furono tuttavia ritenuti soddisfacenti, tanto che il castellano dell’epoca riferisce che il nuovo bastione rendeva la Murata sicurissima. Oltre a rafforzare tutto il versante nord, la sua posizione avanzata verso le alture esterne che dominano il castello e la sua ampiezza rendevano questo corpo di difesa idoneo al piazzamento di grosse artiglierie destinate a contrastare attacchi provenienti da quella direzione.
Particolarmente interessante si è rivelata la scoperta dell’esistenza di due massicci baluardi in terra dei quali ora non resta più alcuna traccia. Il primo in ordine cronologico, realizzato su progetto di Gabrio Serbelloni a partire dalla primavera del 1556, si ergeva per circa dieci metri di altezza all’esterno della porta principale della Murata. Il Serbelloni, esperto capitano d’artiglieria e noto architetto militare, ne intuì subito la necessità dopo il suo primo sopralluogo a Castrocaro e lo concepì come cardine difensivo di tutto il versante settentrionale del castello. Oltre che a defilare la porta della Murata, troppo esposta al tiro di eventuali cannoni piazzati nelle colline circostanti, questo baluardo consentiva di protendere ulteriormente verso l’esterno l’artiglieria da fortezza, migliorando il tiro di controbatteria e potenziando il fiancheggiamento delle cortine. Il progetto originale prevedeva il rivestimento in mattoni di tutte le facce del baluardo, tuttavia, a causa della mancanza di fondi, non fu possibile realizzarlo, così, già dopo il primo inverno le piogge lo dilavarono e fu necessario ricostruirlo, ma la mancanza di un solido contenimento lo condannò a sparire nel giro di pochi anni.
Proseguendo nel medesimo intento progettuale del Serbelloni, nel febbraio del 1557 Gian Luigi Vitelli diede inizio alla realizzazione di un secondo baluardo in terra situato all’esterno della prima porta della Rocca.
Questa volta lo scopo era quello di difendere e rendere più arduo l’accesso alla Rocca e dominare nel contempo tutto il recinto della Murata. Per sostenere il terrapieno il Vitelli si servì di parte del vecchio fossato medievale scavato nella roccia e di un suo contrafforte in pietra e mattoni. Venne aggiunto solamente un muro di contenimento sul versante orientale che col tempo fu il primo a cedere, ma la gran massa del terreno era ancora nella sua disposizione originale fino a pochi anni fa quando è stato sconsideratamente scavato il fossato per poi ricostruire quel ponte che il Vitelli aveva volutamente eliminato.
Inatteso e fortuito è stato, infine, il ritrovamento della postierla settentrionale del castello, di cui si era persa traccia fin dalla metà del Cinquecento. Durante un sopralluogo effettuato nel 2007 per esaminare un tratto di cortina da noi ancora inesplorato, facendoci largo fra la vegetazione quasi inaccessibile, ci siamo trovati a ridosso della vecchia postierla pedonale murata alla cui sommità si trovano ancora cinque beccatelli in mattoni che certamente sostenevano una struttura a sbalzo, probabilmente una bertesca per la difesa piombante localizzata. La scomparsa di questo vecchio accesso che aveva dato il nome al borgo nel quale si apriva, il borgo della Postierla, in dialetto “Psterna”, generò una traslazione del toponimo, tanto che nel linguaggio corrente viene indicata già dal 1763 come «Porta della Fortezza detta della Posterla» quella che in realtà è la porta principale della Murata, poi più comunemente chiamata la “Purtaza dla Sterna” e quindi erroneamente identificata come una porta di soccorso.
Oltre alle poche strutture appena citate, il lettore troverà descritti in questo volume più di un centinaio fra edifici e corpi di difesa, con l’obiettivo di fornire una visuale dettagliata sia a chi si avvicina per la prima volta al tema dell’architettura fortificata, che potrà leggerlo come una guida circostanziata del nostro castello, sia a chi non è nuovo alla materia che lo troverà utile come strumento di consultazione e confronto.
L’arco temporale che abbraccia l’evoluzione delle fortificazioni di Castrocaro è di circa un millennio, un periodo così lungo e complesso da scoraggiarne fino ad oggi ogni approccio globale, ma indagare, riscoprire e studiare testimonianze del passato di questo nostro castello è stato da subito il nostro scopo e lo abbiamo perseguito per anni con caparbietà, nonostante i numerosi, inevitabili momenti di scoramento e la costante sensazione che la materia fosse infinita e l’obiettivo irraggiungibile.
Circa il metodo di lavoro adottato, questo studio presenta alcune novità rispetto alla precedente storiografia, a partire dall’approccio multidisciplinare che ci ha permesso, avvalendoci largamente di materie “ausiliarie” della storia come la geografia, la geologia, l’archeologia e soprattutto l’architettura, di studiare il castello con una ricca dotazione di strumenti d’indagine.
Dopo una classica e breve introduzione storica, completamente riletta e ricontestualizzata in confronto a quanto fino ad oggi pubblicato, passiamo a proporre un’ipotesi di evoluzione generale del castello tenendo conto anche delle opere scomparse, in buona parte realizzate in terra, e di quelle esterne ai fossati come la strada di controscarpa, i ponti, le chiuse dei mulini e le sbarre di confine.
Non abbiamo, invece, ritenuto di prendere in esame gli avamposti e i castelli minori sparsi nel territorio di Castrocaro in quanto non direttamente connessi alle difese castellane.
Ogni singola struttura identificata è stata poi studiata datandola quanto più precisamente ci è stato possibile, analizzandone la funzione, comparandola con le altre e mettendola in relazione, quando le fonti ce lo hanno consentito, con i loro artefici. Questa è forse la parte più originale di tutto lo studio in quanto ci ha permesso di venire consapevolmente a contatto per la prima volta con opere di personaggi come Antonio da Sangallo, Giovan Battista Belluzzi, Gabrio Serbelloni, Gian Luigi Vitelli e Bernardo Buontalenti, solo per citare i più noti.
Per agevolare il lettore a orientarsi nel testo, precisiamo che ognuno dei primi tre recinti, quelli in cui prevalgono le prerogative militari, è stato analizzato a partire dal proprio vertice occidentale, procedendo lungo il perimetro in senso orario e lasciando per ultima la descrizione delle strutture situate all’interno della cinta. Nei due recinti inferiori, invece, essendo predominanti gli edifici ad uso abitativo, sono state prese in esame solo le opere fortificate perimetrali utilizzando un differente criterio espositivo: i singoli elementi, sempre descritti procedendo da ovest in senso orario, sono stati suddivisi raggruppandoli per tipologia: cortine, torri/bastioni e porte.
Per quanto riguarda le denominazioni delle strutture citate, abbiamo solitamente utilizzato quelle originali tratte dai documenti dell’epoca, facendo uso, in mancanza di esse, di riferimenti alla loro collocazione e orientamento (es. la Murata: il torrione circolare di nord-est).Tutte le date citate sono state riportate allo stile comune, nonostante gran parte della documentazione fosse datata secondo il calendario fiorentino che iniziava, rispetto a quello odierno, il 25 marzo dell’anno successivo.
In conclusione, anche se questo lavoro è a nostro avviso da considerarsi come la naturale continuazione dello studio da noi intrapreso tanti anni fa, il risultato finale è assai diverso da quanto ci saremmo attesi all’inizio. Ne è risultata, infatti, una storia di fortificazioni, certo, ma anche di uomini: maestranze, artigiani, architetti, artisti e soldati tra i migliori dell’epoca che si sono avvicendati nei secoli e sono stati i veri protagonisti della realizzazione e dell’evoluzione del nostro castello. Forse è proprio questa la principale novità del nostro studio: non si tratta solo di un’analisi di ruderi nella loro forma e tecnica, ma è soprattutto la storia di personaggi noti o sconosciuti e del loro lavoro, dei loro sforzi per rispondere concretamente alla contingente e incalzante necessità di difesa, alla perenne urgenza di “sicurezza dell’esistere” della comunità di Castrocaro.
Certo, l’iniziale ambizione di dare compiutezza allo studio è svanita col tempo e così, esattamente come trent’anni fa, ci ritroviamo oggi a pubblicare un testo che ancora una volta non rappresenta un punto d’arrivo, quanto piuttosto un nuovo momento di una “fabbrica” in continua evoluzione. A questo proposito, al di là del nostro personale compiacimento per aver portato a termine questa fatica, resta purtroppo il rammarico di dover constatare che a succederci nella ricerca siamo stati noi stessi, nessun altro, come abbiamo sempre auspicato, ha per ora raccolto il nostro testimone. Ci auguriamo, pertanto, che le ricerche sul nostro castello non si esauriscano con noi, ma che altri le portino a termine o quanto meno le integrino e le migliorino perché l’argomento merita di essere approfondito e può certamente essere ancora fonte di scoperte esaltanti e soddisfazioni come lo è stato per noi.
Desideriamo infine ringraziare tutti quelli che ci hanno aiutato a portare a termine questo lavoro e in particolare la professoressa Daniela Lamberini che per anni ci ha seguito con pazienza dispensandoci generosamente consigli; Concetta Giamblanco, vicedirettrice dell’Archivio di Stato di Firenze che ci ha anticipato il contenuto di alcune filze non ancora inventariate e pubblicate; Antonella Imolesi, responsabile delle Raccolte Piancastelli presso la Biblioteca Comunale “Aurelio Saffi” di Forlì; Paola Zambonelli, responsabile dell’Archivio Storico Comunale di Castrocaro Terme e Terra del Sole; Loris Fabbroni (†), Walter Ranieri, don Oreste Ravaglioli; tutto il personale delle istituzioni pubbliche che abbiamo visitato: gli Archivi di Stato di Firenze, Forlì, Ravenna e Sezione di Faenza, l’Archivio Arcivescovile di Ravenna, le Biblioteche Comunali di Forlì, di Faenza e dell’Archiginnasio di Bologna.
Non possiamo inoltre dimenticare Luigi Savelli che nel nostro primo lavoro sulla fortezza di Castrocaro aveva illustrato il testo con una serie di vedute disegnate a pastello; a lui avevamo commissionato anche la copertina di questo lavoro, ma purtroppo ci ha lasciati prematuramente prima di poterla realizzare.
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