LE SEGRETE DI ELIOPOLI

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ART E DOSSIER - numero 70 – luglio-agosto 1992

LA PAGINA NERA  

Romagna: il borgo fortificato di Terra del Sole

LE SEGRETE DI ELIOPOLI
Fabio Isman

Una minuscola “città ideale” del Cinquecento, col suo archivio criminale e le sue celle istoriate da due secoli di graffiti: un documento storico di assoluto rilievo che giace quasi dimenticato.

 

È un incredibile gioiello d'arte e cultura: tra i più incontaminati, ma anche tra i meno conosciuti e i più dimenticati. È un unicum assoluto, assolutamente bistrattato: per questo gioiello, pochissimi spendono qualche parola e nessuno qualche lira. In una città grande come un fazzoletto (quattrocento metri per trecento), senza nemmeno dover troppo cercare, si ritrova tutto: anche l'incredibile.

Andiamo con ordine: la cinta muraria è un perimetro assai ben conservato, lungo due chilometri e alto dodici metri e mezzo, con casematte e baluardi stellati ai quattro angoli, e due castelli - quello "delle artiglierie" e quello "del capitano di piazza", con cinquecenteschi soffitti lignei talora splendidamente dipinti - a proteggerne le porte.
Le architetture recano firme di tutto rispetto: il progettista della città è Baldassarre Lanci (1510-1571), noto anche come «l'ingegnere delle fortezze» perché in nove anni ne costruisce sei; mentre il Palazzo del governatore si deve a Bernardo Buontalenti (1531- 1608), allievo di Ammannati, artefice fra l'altro del completamento degli Uffizi e dell'edificazione del forte fiorentino di Belvedere.
Il rinascimentale sogno sociourbanistico della "città ideale" si estrinseca in complessi abitativi a schiera lunghi novanta metri e alti nove, l'esatta larghezza delle vie antistanti: un totale di otto isolati, con quattro strade maggiori e otto minori raccordate dalla piazza d'armi.
Ancora: di fronte al Palazzo del governatore sta la chiesa, intitolata a Santa Reparata; e il borgo ci riporta direttamente alla contrastata epoca di Cosimo I, il duca Medici che in dieci anni edifica altrettante fortezze; e ci riporta anche alle contraddizioni di una marca di frontiera, infestata da bande e banditi, al confine tra la Toscana e lo Stato della Chiesa.

• UN AVAMPOSTO FIORENTINO

Ma soprattutto questo luogo a pochissimi chilometri da Castrocaro, che si chiama Terra del Sole ed era il capoluogo di provincia della "Romagna fiorentina", entità geopolitica istituita su progetto del Guicciardini nel 1543 ed esistita fino al 1776, ci regala ancora oggi le sue costituzioni e le sue leggi, ottimamente conservate in un compendio completo; nonché il più ragguardevole archivio criminale forse esistente nel mondo: in duemila ordinatissime filze, ci racconta tutto su come veniva amministrata la giustizia penale e civile tra il1579 e il 1772, fino alla liberale "riforma leopoldina". Agli studiosi spetta oggi un'incombenza alla quale sottrarsi sarebbe un delitto: esaminare questo archivio, e anche decodificare le testimonianze dirette di chi è passato per le "segrete" del borgo, ancora tutte da esaminare e raccontare: celle completamente graffite nel loro intonaco originale, con i nomi, la conta dei giorni, i reati, le speranze, le disperazioni.
La "città ideale", perfetta fortezza, risulta incompiuta come la Pienza di Bernardo Rossellino, concepita un secolo prima: di sessantaquattro case previste, soltanto trentotto sono state edificate; dei quattro borghi maggiori, soltanto due costruiti: architettura tipicamente toscana, nei colori e nei tetti a sbalzo, in una Romagna (e non lontano dalle Marche) di tinte e profili totalmente diversi. Due finestre in facciata per gli edifici civili e tre per quelli della guarnigione.
Terra del Sole traduce l'originale "Eliopoli" che, nella vicenda di Cosimo, fa da corrispettivo a Portoferraio, anch'essa da lui fondata e chiamata "Cosmopoli".
Ma tutto questo costituirebbe una pagina bianca, forse dorata, mentre invece è una pagina nera, e assolutamente a buon diritto. Intanto perché, già molti anni fa, qualcuno ha pensato bene di sfondare le mura in due punti per far passare una strada provinciale proprio davanti al Palazzo del governatore (e proprio davanti all'uscio è la fermata dell'autobus); poi, perché la conoscenza e la valorizzazione del luogo sono tutt'altro che compiute (ne parliamo nell'apposita scheda); infine, perché alle fortune antiche per cui fu fondata, Terra del Sole ha sovrapposto successive e contrastanti vicende. Nel 1925, una squadraccia della non lontana Castrocaro si ruba il Comune, nel senso dei sigilli e degli arredi, reclamando il diritto al capoluogo; Mussolini in persona s'incarica di mediare, e unifica i due paesi (Castrocaro e Terra del Sole), collocando la sede municipale all'esatta metà fra questa città fortificata e la rocca di Castrocaro che, infatti, è oggi forse l'unico Comune ad avere il municipio in periferia. Inoltre, due anni prima, a Terra del Sole era venuta in visita "donna" Rachele; e non s'era fatta scrupolo di lasciar traccia della sua presenza su un volume degli statuti redatti nel 1513, alla cui ultima pagina, infatti, oggi si legge che «addì 18 aprile 1923, donna Rachele Mussolini e il commendator Arnaldo Mussolini, rispettivamente consorte e fratello di S: E. Benito Mussolini, duce della rinnovata Italia, visitarono questo Comune».

• CITTÀ IDEALE?

Ma torniamo alla città - si fa per dire, e tra poco vedremo perché - ideale: il Palazzo del governatore non conserva soltanto gli stemmi di tutti i reggenti che vi si sono succeduti, ma anche le celle dell'epoca; due pubbliche, sette "criminali". Queste, assai anguste, un paio di metri quadrati: porte in rovere, blindate e alte un metro e venti; spesso senza finestre, e comunque invisibili dall'esterno, erano a metà strada tra l'aula del giudizio e quella del "tormento": della tortura che, all'epoca e nel luogo, era prassi assai più che consolidata.
Le "celle criminali", dove i malcapitati restavano soltanto fino a giudizio concluso e non per espiare la pena, conservano quelli che, probabilmente, sono perfino gli antesignani di una raffinata tortura psicologica: l'intera parete di fondo di una cella da cinque posti, detta "il Paradiso", è monopolizzata da una veduta di città di mare, forse la stessa Livorno, fondata da Cosimo l, dove molti finivano ai remi coatti; e una grande scritta ammonisce: «Ricorda».
Sulla volta a botte, invece, un'altra minaccia per gli sciagurati che avevano la sventura di mettervi piede: una grande croce nera con i simboli della tortura e tante altre croci più piccole che, eloquentemente, convergono verso la maggiore. Dappertutto nomi e date, il calcolo dei giorni inciso nell'intonaco, con cui si possono ricostruire squarci della storia autografa di intere famiglie di banditi o presunti tali. In ogni cella, il nome di almeno uno degli Eschini, stirpe evidentemente di grandi insubordinati. 

• MEMORIE DI ANTICHI ORRORI

Ma è l'archivio, di cui è responsabile Paola Zambonelli e che è stato totalmente riordinato, a raccontarci le storie più incredibili di questa plaga (nonché di quelle piaghe), e di quei tempi: la tortura costituiva una consuetudine, e veniva inflitta in mille modi, tutti dolorosissimi e spietati; alcuni perfino simboleggiati graficamente con appropriati disegnini sui volumi dei processi.
Leggiamo. «Mastro Livio di Nunziato con quattro manovali et due paia di buoi per tirare i legni delle forche» innalza due patiboli subito fuori la porta del borgo; il fabbro Rinaldo di Bernardo prepara «numero 88 caviglie et una catena con il suo collaro». Vengono pagati Valerio Bessico, «che conficcò sulle forche la testa di Matteo di Taddeo, bandito», e Marchino di Giovanni («due cavezze che servirono ad appicchare Sabatino di Biagio di San Benedetto et Augusto di Piero Casaccia da Stia»); Marchino era un boia tenero di cuore, delle sue vittime esaudiva l'estremo desiderio: «Mezza libbra di confetti et un fiasco di vino per detti appicchati».
E, ancora, i documenti di Terra del Sole ci raccontano come, a quel tempo, si puniva: «Star legato alla fune un giorno, pubblicamente»; «tratti due di fune, perdita dell'archibuso, confiscazione de' beni»; «legare [ ... ] nudo, !asciandogli soltanto i pantaloni, alla berlina o alla catena, e stia lì legato in modo che serva da esempio a tutti»; «confinati anni due, pena la galea non osservando»: chi torna indebitamente, è spedito a remare.
Perfino faccende degne di certo Islam di oggi («amputazione della mano sinistra» per un ladro); e, sempre e comunque, davvero senza pietà: «Dal luogo dove si pronunci sentenza a quello del suplizio, li si torturi con tenaglie roventi»; oppure «in perforazione lengua, tanagliato, impichato, squartato».
Questi lacerti, appesi fuori porta e lasciati al pubblico ludibrio e ammonimento finché non fossero caduti a terra e divorati dagli animali, non erano propriamente gradevoli: l'archivio conserva la protesta di certi frati, ma non già perché tutto questo avveniva, bensì soltanto perché loro si trovavano sottovento e quei patiboli era meglio collocarli altrove.
Nemmeno i nomi degli arnesi da tortura riescono a ingentilire le cose: "zufoli" si chiamavano i cunei da infilare sotto le unghie, "dadi" i morsetti con cui serrare le estremità.
Insomma, "città ideale" ma davvero non per tutti: c'è chi è «torturato perché non vuole confessare d'aver macinato senza polizza», legato per le braccia e la fune ripetutamente alzata da terra; e, se ancora non basta, «non confessando in questo tormento, se li darà il fuoco, la sveglia e altri tormenti».
Terra del Sole per molti non era insomma il Paradiso. Il boia, di solito veniva da fuori: al «maestro Stefano Pozzi», vengono assegnati 14 fiorini per il viaggio d'andata, e 39,4 per il ritorno a Firenze; 14 per aver eretto la forca per Lorenzo Papini da Galeata, 16 per lo squartamento, 21 per «l'attacchatura e la conficcatura»; 25 per l'aiutante; altri ancora per «vitto, mercede, cavalcatura, biada, stallaggi»; perfino il prezzo del sopralluogo, «visita alle forche»; già che c'è, «maestro Pozzi» non si risparmia: a l0 fiorini cadauno, frusta e marchia sulla spalla Francesco Guidi, Giuseppe Giuncheti, Giuseppe di Mario Bandini, e si ricorda di mettere in conto anche l' «inchiostro per detti tre bolli, fiorini 3».
Questa è Terra del Sole, e questa la sua importanza: il fatto che quasi nessuno la conosca, la dice assai lunga su quali e quante occasioni questo nostro paese sa perdere. La soprintendenza di Ravenna restaura le mura; quella di Bologna s'interessa agli affreschi; l'Istituto beni culturali della Regione sostiene con cinquanta milioni gli interventi più urgenti; «per costituire un vero museo, ne sono disponibili trecentocinquanta; per restaurare ogni cosa servirebbe un miliardo», dice Paola Zambonelli. Il progetto c'è, ne parliamo a parte; i fondi pure; ma nulla si muove. O, almeno, ben poco: sulla facciata del Palazzo del governatore, fino a poco tempo fa spiccava l'insegna della farmacia, che ora s'è trasferita altrove; non si è ancora trasferita, invece, la scuola media, ospitata nel medesimo stabile.

PROGETTI IN BILICO
A Terra del Sole, finora, sono stati dedicati un paio di convegni e una sola tesi di laurea; ogni tanto vi viene a studiare un professore dal Connecticut; se ne interessa qualche docente toscano.
Alcuni locali del palazzo del Governatore ospitano un museo - che racconta soprattutto della civiltà rurale e contadina- organizzato dalla Pro loco. La Pro loco stessa ha la propria sede nel palazzo, e da qualche tempo detiene anche le chiavi delle celle.
L'archivio storico, che dipende dal Comune, è invece ospitato in uno dei due castelli della città, quello del Governatore.
A marzo scorso, un architetto bolognese, Pier Luigi Cervellati, ha consegnato al Comune il progetto per "musealizzare" le carceri di Terra del Sole, di cui era stato a suo tempo incaricato; ma da allora ben poco sembra essersi mosso.
Non solo: il rischio è che questo immobilismo costi ben caro: alcuni finanziamenti provinciali, ottanta milioni già disponibili e altri duecentocinquanta che potrebbero essere assegnati, scadranno con il 1993 se nel frattempo non saranno state assunte le indispensabili decisioni.
Il progetto, elaborato a partire dal 1989 anche con il concorso dell'Istituto regionale per i beni culturali e a suo tempo approvato da tutti i partiti politici, è di far nascere un «museo dei percorsi delle secrete», affiancato da un centro di documentazione europeo sulla carcerazione e sull'uso della tortura. Con qualche difficoltà, Cervellati è riuscito a risolvere, con l'uso delle più moderne tecnologie, il grave problema causato dai visitatori: le celle anguste ne possono ospitare pochissimi alla volta e, inoltre, l'umidità e l'inquinamento che ogni essere umano porta con sé potrebbe causare gravi danni agli intonaci trasformati, oggi, insostituibili documenti storici.
Invece, l'attuale l'illuminazione (non "a luce fredda") di questi spazi angusti è giudicata da qualcuno eccessiva e pericolosa; in qualche cella è perfino mutato l'antico microclima per l'apertura di finestre che un tempo non esistevano.
Naturalmente, spesso l'attività delle Pro loco è assolutamente benemerita, ma talora rischia di non essere - sotto il profilo scientifico - all'altezza delle situazioni con cui è chiamata a misurarsi.
In più, a Terra del Sole le ultime elezioni hanno provocato un "ribaltone" nella maggioranza e nella giunta comunale, e si sa cosa accade in questi casi: non è detto che il nuovo assessore alla cultura (Dc) debba necessariamente condividere tutti i progetti del suo predecessore (Pci).
Comunque, la vicenda è a questo punto: con tutti i tesori che possiede, ed essendo un indiscutibile tesoro essa stessa, Terra del Sole sembra tuttavia una "grande dimenticata". In fin dei conti, renderla meno clandestina non costerebbe nemmeno molto, e potrebbe produrre vantaggi, di fama ed economici.