IL CRIMINE VIOLENTO NELLA ROMAGNA TOSCANA, 1579-1609, John K. Brackett

Il presente brano è tratto da "Criminal Justice and Crime in Late Renaissance Florence. 1537-1609", Cambridge, Cambridge University Press, 1992; pubblicato anche con il titolo "The Otto di Guardia e Balia: Crime and its Control in Florence, 1537-1609", Cambridge, Cambridge University Press, 1992; autore JOHN K. BRACKETT, direttore del Dipartimento di Storia Università di Cincinnati; ricerca storica svolta presso l'Archivio storico di Terra del Sole.

 

vedi JOHN K. BRACKETT Aspects of the local reaction t o the reorganization of criminal justice in the Tuscan Romagna) 1579-1609 pubblicato in Istituzioni e società in Toscana nell'età moderna (Volume 1)

“IL CRIMINE VIOLENTO E IL SUO CONTROLLO: GIUSTIZIA CRIMINALE E
I VALORI DELLA COMUNITA’ NELLA ROMAGNA TOSCANA, 1579-1609”

Il testo è stato gentilmente tradotto dai ragazzi del Servizio Civile.

            Gli europei dell’era del Rinascimento svilupparono un interesse ossessivo nell’analisi della loro apparentemente enorme capacità di occuparsi del comportamento violento (1).
Gli scrittori di politica come Machiavelli, Bodin, Thomas More e Michel de Montagne, chiesero perché guerra e ribellione fossero autorizzate a sconvolgere il governo degli stati e delle comunità, quando chiara evidenza dedotta dai viaggi di scoperta dimostrava che tale non era la condizione universale delle società umane. Data la spettacolare scala e importanza del conflitto Hasburg-Valois, le guerre degli Asburgo contro i protestanti in Germania e le città mercantili dei Pesi Bassi, e delle guerre di religione francesi, non è un miracolo che la maggior parte delle analisi si focalizzassero sulle cause di guerra. Relativamente fu riservata meno energia per l’investigazione di conflitto locale e domestico, che oggi sono gli interessi correnti di molti storici sociali, storici del crimine, e studenti dell’edificio statale nel primo periodo moderno (2)
.
Certamente, nessuna area dell’Europa fece esperienza di queste forme di violenza più che l’Italia, e nessuna parte della penisola vinse più fama dai commendatori come Niccolò Machiavelli, per le tendenze violente dei suoi abitanti, di quanto facesse la regione Romagna degli Appennini Toscani.

            In questo foglio desidero presentare in una maniera di paragone, qualche frutto della mia ricerca sul crimine violento condotto nell’Archivio di Stato di Firenze, con altro materiale che ho dedotto in ricerche più recenti nell’archivio di Castrocaro Terme e Terra del Sole. Questa doppia comunità sta ai piedi delle colline Appennini, appena sopra a Forlì, che usava essere il confine tra il Papa, la Romagna e limiti orientali del Granducato Toscano. Il mio interesse è esplorare la struttura di violenza - - che è per le ragioni e per le forme di assalto, omicidio, rapimento e insulto - - in queste aree completamente differente, attraverso l’uso dei processi della corte criminale. Come sostennero gli antropologisti Hoebel e Llewelyen nel loro libro, The Cheyenne Way, che, nel 1940, apriva la strada all’uso di studi di casi nel nuovo campo di antropologia legale, i processi criminali non ci dicono qual era il comportamento normale; piuttosto, uno impara quali erano i limiti di tolleranza sociale. Questo non significa, comunque, che in complesso e in una società diversa come quella degli inizi della toscana moderna, il comportamento che eccedeva nei limiti determinato dai fiorentini dominanti era necessariamente aberrante agli occhi dei loro sudditi nella Romagna. Attraverso il paragone della violenza in cui erano, infatti, due società simili nei periodi culturali, ma a fasi differenti dell’integrazione politica in uno stato centralizzato - - una più moderna, l’altra ancora tradizionale - - poniamo noi stessi nella posizione di iniziare a capire come, quando e perché questi limiti cambiarono. Dalla conclusione emerge che una rete complessa di circostanze ambientali, politiche, economiche e sociali creava la violenza dei Romagnoli differenti, nel complesso, da quella dei fiorentini in motivazione e forma nel tardo sedicesimo e diciassettesimo secolo.

            Lasciatemi iniziare con descrizioni letterali della sistemazione fisica e delle posizioni amministrative di Firenze d Castrocaro Terme-Terra del Sole. Senza dubbio, molti di voi non sono estranei a Firenze. Oggi, è una città di medie dimensioni localizzata nella valle del fiume Arno, lungo le sponde del fiume. Nonostante le pretese del “Panygeric” di Leonardo Bruni, la città non traeva nessun vantaggio particolare da questa locazione; invece, lo sviluppo della sua classe media basata in generale, e la sua ascesa nel predominio economico e politico sulle altre città toscane meglio localizzate durante il Rinascimento sembra piuttosto miracolosa. Come la capitale del Granducato la sua autorità politica era più facilmente, ma non perfettamente, esercitata su quelle città e comunità soggette dalla parte occidentale degli Appennini. Il controllo delle comunità montane sotto la sua autorità ai confini dello stato papale era importante ma difficile da effettuare, in quanto Cosimo I unificò questi territori sotto la singola giurisdizione della Provincia della Romagna nel 1542 (3).
La sede di questa nuova provincia fu localizzata al capitanato di Castrocaro fino al 1579, quando la città-fortezza “ideale” di Terra del Sole, costruita recentemente, divenne il centro amministrativo di quest’area. I processi criminali raccolti nell’archivio di Terra del Sole così ci informano circa il comportamento violento non solo a Castrocaro-Terra del Sole, ma nell’intera Romagna-toscana.

Come John Larner ha affermato, la Romagna era un ambiente di povere risorse, la cui povertà era un fattore cruciale nella sua instabilità politica cronica e una fonte di violenza endemica. (4).
Gi abitanti della montagna trassero livelli inadeguati di sussistenza dalla coltivazione di grano, vigne e uliveti; tagliando la legna nelle vicinanze delle foreste e allevando pecore non riuscirono a fornire abbastanza rendite pure. Per sopravvivere, i residenti della Romagna fecero ricorso alla migrazione stagionale per lavorare in altre aree; e alla partecipazione nel contrabbando - - grano, olio, canapa, gesso, animali e soprattutto tessuto - - all’interno di Firenze attraverso percorsi che arrivavano alla città dell’Arno attraverso la valle del Montone a Firenze, testimoniava anche l’attività considerevole del contrabbando (5).

            Dobbiamo capire che, nel centro come nella periferia dello stato granducale, il clima di violenza interno era condizionato dall’esistenza di legami complessi che univano le fazioni urbane fondate con i loro sostenitori nelle città più piccole e nei villaggi della Toscana. Ancora, è anche vero che gli alleati dei nobili cittadini non erano completamente sottomessi alle mire politiche dei loro superiori sociali; inseguivano i loro propri interessi e controversie. Quando il seggio di Firenze nel 1530 terminò la repubblica, il fazionalismo cessò di avere un impatto significativo sul governo della città perché una piccola e disperata èlite relativamente accettò la loro dipendenza dalla recentemente nobilitata famiglia dei Medici. (6).
La vendetta di famiglia occasionale non accadde a Firenze, nel 1590 e nel 1600, per esempio, ma gli effetti di questi eventi furono limitati in quello che loro non avevano per molti il potenziale di causare crimini politici (7).
I granduchi possedevano il potere politico, esercitato attraverso il bargello e l’Otto di guardia e Balia, e il sostegno offerto dall’èlite al successo dello stato, entrambi i quali erano necessari al controllo di questi scoppi violenti.

            Tale non era il caso della Romagna. Fino a Castrocaro prima e Terra del Sole poi, giunsero a funzionare come sostituti locali dell’autorità fiorentina, nessuna città o villaggio era stato più importante di un altro. Così, nessuna singola città era il centro principale della contesa delle fazioni, invece, una diffusa rete di lavoro del fazionalismo era presente. La vicinanza dei possessi fiorentini a quelli del papato significava che le associazioni di fazioni attraversavano limiti stabiliti artificialmente e, così, era più difficile per la sola Firenze da controllare. Nel 1499, Corbizzo Corbizzi di Castrocaro fu ucciso appena ritornò da Forlì, dove aveva tenuto consulti con Caterina Sforza. Fu probabilmente ucciso da Bernardini Masarone di Faenza, un parente della famiglia Naldi di Brisighella, che erano nemici dei Corbizzi. (8)
La cooperazione era necessaria da parte dei governatori del papa per sperare di ottenere il controllo. Scrivendo da Terra del Sole nel 1588, Giovanbattista Picchenesi, poi responsabile delle forze di caccia banditi nella Romagna Toscana, (9) chiese al presidente della Romagna papale, Giovanni Pellicano, di ottenere il permesso da Roma per il trasferimento in galera a Terra del Sole dei banditi da Liberano, che erano stati catturati a Faenza e a Forlì, là dove continuavano ad esistere grandi fazioni con collegamenti a Liverano e a Modigliana. Picchenesi temette che i prigionieri ricevessero aiuto nella realizzazione di un’evasione, o in mancanza di quello, che potessero essere avvelenati per farli astenere dal parlare. (10)
Più tardi, nel 1602, quando Picchenesi era governatore militare delle Province della Romagna, uno si trova tra la corrispondenza regolare che mantenne con i suoi superiori ai Nove Conservatori della Giurisdictione, una lettera che riporta un assassinio - - un omicidio commissionato - - che era stato commesso da un certo Bernardo di Cesare Tassinari da Rocca San Casciano, il quale era già stato bandito per crimini simili a Cesena e a Ravenna. (11) Ma, c’erano anche collegamenti laterali tra i membri di queste fazioni nelle città e nei villaggi della Romagna Toscana. Per esempio, i Tassinari di Rocca San Casciano, si misero contro i banditi di Liverano nel  1587, che consideravano tra i loro sostenitori la famiglia Biccicci di Civitella. I Biccicci furono coinvolti nella lotta di loro stessi con la famiglia Massi delle vicinanze (due miglia) Galeata. (12)
Attraverso l’uso degli archivi dei “Paci e Tregue” a Terra del Sole, uno può iniziare a tracciare i grandi confini di queste alleanze regionali come esistevano dal tardo sedicesimo secolo, come nel diciassettesimo. La famiglia Tassinari, per esempio, stabilì rami in molte città e villaggi della Romagna; i loro membri si impegnavano in conflitti con molte famiglie differenti: i Badgnani di Dovadola, i Liverani e i Pazzi di Modigliana. Altre famiglie di rilievo per la loro violenza erano i Fabbroni di Marrani e gli Eschini a Palazzuolo.

            Il sistema di giustizia criminale, amministrato dai commissionari fiorentini, dai giudici professionali e dai notai da altre parti nel dominio, tentava di controllare questa forma di violenza nella periferia, ma il sistema stesso era a volte usato da una fazione per punire i suoi nemici. Da almeno maggio 1578, per tutto giugno 1579, alcuni dei residenti del paesino di Liverano - - sebbene non contenesse più di quattro case, ricoverarono numerosi abitanti, dall’anno 1587 videro trenta di loro dichiarati banditi (13) - - furono coinvolti in una discussione violenta con alcuni degli uomini del Lago, che avevano legami di fazione con la famiglia Piazza delle vicinanze di Modigliana. (14) Al mattino del 18 maggio 1579 Marchetto di Bastiano di Lago andò a tagliare un po’ di legna nella foresta vicina di Naorsa; quando arrivò là vide nove persone, molti banditi di Liverano, tutti armati con archibugi di varie dimensioni. Riconobbe immediatamente tre di loro, e gridò, così come, nelle sue parole, “…non andate contro le proclamazioni ducali…dopo i banditi! dopo i banditi!…” Marchetto fu unito nel raggiungere l’inseguimento da altri del Lago che erano vicini, a casa o a lavoro nei loro campi. Gli attentatori frustrati fuggirono a Liverano dove erano uniti dai loro parenti e sostenitori che forzavano gli uomini di Lago superati di numero a ritirarsi. Marchetto e gli altri rivelarono durante i loro interrogatori a Terra del Sole, che erano certi che i Liverani avessero aspettato ad uccidere don Gregorio Piazza, il quale era stato cercato nella foresta. Con la tipica ostinazione romagnola, si rifiutarono di rivelare ai commissionari fiorentini ogni cosa circa la natura del conflitto, se non di dire che i Liverani e i Piazza fossero nemici. Un episodio precedente, e possibilmente il primo, aveva coinvolto lo stesso Marchetto in un attacco ai capi dei Liverani nella piazza centrale di Modigliana, come stavano nell’ufficio di un notaio tentando di raggiungere un accordo in periodi che avrebbero terminato uno scambio precedente di violenza. Ovviamente, Marchetto non aveva nessun reale rispetto per i decreti ducali, ma desiderava solo introdurre le autorità fiorentine per dare una mano agli uomini di Modigliana e Lago contro i loro nemici di Liverano.  E il suo piano funzionava: dei sette fuori dai nove uomini condannati e banditi sotto pene capitali, tutti sono annotati come morti nei Libri di Condanne del 1579-82. (15)

            Cesarina Casanova, una storica della Romagna papale, sostiene che, alla radice di questi feudi tra i contadini delle montagne, c’erano rivalità sui diritti di pascolo e controllo delle vie di contrabbando. (16) Forse il bisogno di nascondere ai fiorentini il loro coinvolgimento in questa attività illegale era la ragione per la testimonianza reticente di uomini come Marchetto. Casanova afferma anche che l’estinzione della violenza tra le fazioni nelle montagne avvenne nel diciassettesimo secolo, quando gli interessi convergenti dell’agricoltura dei proprietari terrieri, resero tali ricerche sconvenienti. (17) Mentre io non sono in grado di sostenere le sue conclusioni su questo punto, è interessante osservare che nel 1601 un membro del clan dei Tassinari residente a Portico, e un certo dottor Toli da Liverano, furono entrambi coinvolti nell’approvvigionamento del grano, coltivato dai loro parenti, per alimentare la milizia ducale a Terra del Sole. (18) Non sono stato in grado di trovare nessuna notizia di ulteriori bandi dei Liverani o Tassinari in questo stesso periodo di tempo.

            Dietro all’omicidio e all’assalto, la commissione di altri tipi di crimine violento - - rapimento e insulto, che erano crimini contro l’onore familiare e personale - - a volte avevano origine dell’avvenire di dispute tra fazioni. Tale violenza può essere descritta come manifestazioni di conflitti tra fazioni a “bassa intensità”. Questa era completamente una situazione differente da quella che si ottenne a Firenze, dove il rapimento e l’insulto erano separati dalla vendetta.

            Madonna Lorenza di Domenico di Giovanni del castello del villaggio di Premilcuore, archiviò un’accusa a Terra del Sole il 15 giugno 1580, in cui lei dichiarò che, circa un mese prima, Bernardino di Batista dalla Lombardia era entrato nella sua casa, armato di un archibugio e tentò di fare forza su di lei. Gridò nel momento che la sua resistenza portò l’intruso a puntarle la sua pistola e a minacciare di ucciderla; ma era preoccupato che il rumore attirasse l’attenzione, lei affermò che Bernardino poi andò via. (19) Durante il processo di prova, a Madonna Lisabetta dichiarò per Bernardino che Lorenza era una donna libera, e che tutto Premilcuore lo sapeva. (20) Con la reputazione di Lorenza così impugnata, e nessun testimone, Bernardino fu assolto. (21) Nel frattempo, Bernardino aveva archiviato la sua denuncia per insulto contro un certo Antonio Masini, che aveva incontrato nella piazza di Terra del Sole sulla sua strada per rispondere all’accusa rapimento. In ovvio riferimento alla situazione di Bernardini, Antonio lo accusò di non essere un “uomo da bene”. (22) Antonio fu considerato colpevole, multato venticinque scudi e sollevato due volte pubblicamente di fronte al palazzo pretorio. (23) La connessione tra questi eventi diventa chiara quando realizziamo che Antonio e Lorenza, Bernardino e Lisabetta, erano alleati assieme o messi in relazione alle famiglie e Fabbri, rispettivamente, che lo avevano scoperto in condizione sanguinante una notte di maggio nelle strade di Premilcuore. (24) Il fazionalismo era la causa principale questi casi apparentemente separati di rapimento e insulto che feriva i nemici nel loro orgoglio, nell’arena dell’opinione pubblica.

            A Firenze, d’altra parte, non sono stato in grado di documentare nel mio studio dell’Otto di Guardia e Balia, il capo della magistratura criminale della città, una sola istanza in cui le dispute tra famiglie producevano incidenti di rapimento o insulto nel periodo 1537-1609. Ma l’onore personale e familiare, i valori culturali che aiutarono a mantenere insieme le fazioni erano profondamente coinvolti. Gli uomini fiorentini abitualmente impegnati insieme in piccoli gruppi nel rapimento di donne indifese, come modi di dimostrare a se stessi che, come uomini reali, potessero forzare la sottomissione sessuale di tali donne. I casi di insulto puniti a Firenze dimostrano che queste dispute accadevano tra individui sull’onore personale violato; non ritirarono la partecipazione dei membri della famiglia.

            Prima di concludere, non voglio lasciare l’impressione che, nella Romagna, non ci fossero anche incidenti di violenza “atomizzata”, che, a questo punto sembra aver avuto nessuna diretta connessione al conflitto tra fazioni. In questi casi, come era vero a Firenze, la difesa individuale dell’onore personale o familiare era un fattore motivante. L’onore fu coinvolto nel 1590 (25), quando Antonio di Renzo Aldinghieri, originariamente del Friuli, fu accusato di assalto su un poliziotto del bargello a Terra del Sole. Antonio rispose con violenza al rimproverare del poliziotto, per “…honore suo…” (26) La maggior parte delle aggressioni sessuali che ho visto a questo punto coinvolgevano la violenza di un uomo diretto contro donne pastore, che avevano cura di famiglie di greggi da sole sui pendii delle montagne. (27) I capi maschi delle famiglie così feriti, raccoglievano accuse in questi casi per proteggere l’onore familiare.

            Ormai, spero che si chiaro attraverso l’analisi di paragone delle registrazioni criminali, che la violenza è un “fatto sociale”, la cui motivazione è modellata tramite l’interazione straordinaria di qualcuno della stessa struttura politica, economica e culturale che, quando presi insieme, definiscono una società storicamente distinta. Le forme di violenza, poi, hanno la loro propria destinazione storica, e cambiano come cambia la società. Come Zemon-Davis, E.J. Hobsbawm, Charles Rude, e E.P. Thompson hanno dimostrato, gli esempi di condotta violenta, in forme e situazioni accettabili e inaccettabili, sono insegnati da fonti e dalle figure di autorità ai gruppi e agli individui. (28) L’intensità delle lotte tra fazioni, in cui avvenivano morti effettive e sociali - - attraverso il disonore - - alimentavano una cultura di violenza che superava la questione delle fazioni stessa. Il risarcimento dell’onore compromesso era limitato non solo alla violenza delle consorterie, ma motivava le risposte violente degli individui. (29) Questo era il caso di Firenze.

            Nella Romagna toscana ancora tradizionale, il sistema di giustizia criminale giocava un ruolo nella definizione di norme di comportamento accettabili attraverso l’emanazione di leggi, ma - - attraverso l’uso delle torture giudiziarie, gli spettacoli di punizioni pubbliche e le esecuzioni, del bando, che volgevano alcuni uomini alla preghiera dei loro pari sociali - - le persone imparavano anche che, dalla cooperazione selettiva con il sistema, poteva a volte essere usato attaccare e punire i loro nemici in una maniera soddisfacentemente brutale, come si usava contro di loro da parte dei più ricchi e delle persone e gruppi di potere, per gli stessi scopi. (30) Ma, gli interessi delle fazioni romagnole non erano ancora al pari di quelli dello stato fiorentino. Le tensioni e le ansie che risultavano dal bisogno di controllare spesso le scarse risorse naturali, a volte portavano alla cooperazione, ma causavano anche violenza che esplodeva tra individui, gruppi e intere comunità. I valori di questo sistema di giustizia privata portavano più peso con i Romagnoli di quanto facessero relativamente la nuova struttura di giustizia statale, amministrata dagli “stranieri”, nel nome dei granduchi dei Medici. 

NOTE:

(1) J.R. Hale, “Sixteenth Century Explanations Of War And Violence,” Past and Present, n. 51, 1971, pp. 3-26.

(2) La bibliografia su queste aree di ricerca è troppo vasta per essere inclusa in questo foglio. E’ di abitudine, comunque, mostrare qualcuno dei lavori più recenti in queste aree. Una buona veduta dello stato recente del campo della storia del crimine e l’uso dei documenti criminali è stato trovato nella “Giustizia Criminale E Criminalita Nell’Italia Del Tardo Medioevo: Studi E Prospettive Di Ricerca,” di Andrea Zorzi in, Società e Storia, n. 46, 1989, pp. 923-965. Una raccolta di articoli che osserva il crimine e le punizioni principalmente nel nord Europa durante l’inizio dell’età moderna è, Crime and the law. The social history of crime in Western Europe since 1500. (Pubblicazioni Europee Limitate: Londra, 1980), a cura di V.A.C. Gatrell, Bruce Lenman e Geoffrey Parker. Una raccolta più vecchia ma ancora interessante di articoli sulla violenza negli stati italiani è, Violence and civil disorder in Italian Cities, 1200-1500 (University of California Press: Barkeley e Los Angeles, 1972), a cura di Lauro Martines. Il fenomeno di brigantaggio all’inizio dell’Europa moderna è stato il centro di un numero di studi interessanti inclusi nelle, Bande Armate Banditi, Banditismo e repressione di giustizia negli stati europei di antico regime. (Jouvence: Roma, 1986), a cura di §Gherardo Ortalli. Un’analisi di interesse della costruzione statale e comunità della violenza in Italia è, Faide E Parentele Lo Stato Genovese Visto dalla Fontanabuona di Osvaldo Raggio (Giulio Einaudi: Torino, 1990).

(3)    Questi erano: Fiorenzuola e Palazzuolo, che giunsero a Firenze nel 1362; Marrani e Tredozio (1428); Modigliana (1377); Portico (1360); Rocca San Casciano (1382); Dovadola (1407); Castrocaro (1403); Premilcuore (1390); Bagno di Romagna, Verghereto e Sorbano (1404); Galeata (1424); Montedoglio (Santa Sofia) nel 1489; Montefeltro, San Leo, Maiolo e Sestino nel 1520) [Enzo Donatini, La Città Ideale Fortezza della Romagna Fiorentina (Edizioni del Girasole: Ravenna, 1979], pp. 21-22.

(4)    John Larner, “Order and Disorder in Romagna, 1450-1500,” in, Violence and civil disorder in Italian Cities, pp. 39-71.

(5)    Cesarina Casanova, Comunità e governo Pontificio in Romagna in età moderna (Bologna, 1981), p. 20. In questa vallata c’erano Marradi, Brisighella e Modigliana.

(6)    Furio Diaz, “L’idea di una Nuova Elite Sociale negli Storici e Trattatisti del Principato,” Rivista Storica Italiana, 92, Fasc. III e IV (1980), pp. 572-587; R. Burr Litchfield, The Emergence of a Bureaucracy (Princeton University Press: Princeton, New Jersey, 1986).

(7)    ASF, Manoscritti, f.166, numero 7 e 8: “Vita e morte di Andrea Gabburri,” e “Vita e Morte di Curzio Marigoonelle e la sua vendetta,” rispettivamente.

(8)    Ernst Breisach, Caterina Sforza A Renaissance Virago (University of Chicago Press: Chicago e Londra, 1967), pp.197-98. Prima, nel 1495, Caterina aveva ricevuto un sostegno militare dagli uomini di un certo Cicognano da Castrocaro nel suo sforzo di catturare Cusaroli e Castelnuovo, vicino a Forlimpopoli (Caterina Sforza, p. 168).

(9)    Atonia Vanzulli, “Il banditismo,” in Architettura e Politica da Cosimo I a Ferdinando I (Leo S. Olschki Editore: Firenze, 1976), più generalmente sul problema del brigantaggio e la sua repressionenel tardo 1580 e i primi anni 90 nella Romagna toscana.

(10) ASF, Mediceo, numero 795, pagine 477 r/v e pagina 498/v. Vedi anche, James S. Grubb, “Catalysts for organized violence in the early Venetian territorial state,” nelle Bande Armate pp. 389-391, per un’abituale definizione del termine giudiziario “bandito”.

(11) ASF, Mediceo, numero 1277, 1600/01-1602, impaginato.

(12) Ibid, numero 794, pagine 395r/v, lettera di Giulio Beccarla da Poppi a Firenze del 20 gennaio 1587/8; pagine 413/r-414/r, un’altra lettera di Giulio Beccarla da Poppi al Nove a Firenze, del 18 gennaio 1587/8.

(13) ASF, Mediceo, numero 795, pagina 7/r.

(14) Archivio di Castrocaro Terme e Terra del Sole (henceforth, ACTS), Libro Criminale, numero 160, 1578-79, Antonio Parigi, pagine 9r/v, 11/v-12/v, 22/v-39r/, 40/v; Libro Criminale, numero 165, 1579-80, Taddeo Davanzati, pagine 7/v-10r/, 56r/-62v, 103r.

(15) ACTS, Libri di Condanne, numero 24, 1579-82, pagina 2/r.

(16) Casanova, Comunità e governo, p. 71.

(17) Ibid, p. 22.

(18) ASF, Mediceo, numero 1277, lettera del 21 settembre 1601 per Firenze da Picchenesi a Modigliana.

(19) ACTS, Libro Criminale, numero 173, 1580-81, pagine 165r/v.

(20) Ibid, 2 luglio 1580, pagina 195r/.

(21) ACTS, Libro di Condanne, numero 24, pagina 17/v.

(22) ACTS, Libro Criminale, numero 173, 15 giugno 1580.

(23) ACTS, Libro di Condanne, numero 24, pagina 17/v.

(24) ACTS, Libro Criminale, numero 173, 1580-81, 12 aprile 1580, pagina 45r/46/v per la denuncia, che nota che la moglie di Antonio, un Monsignani, si era armata per prendere parte alla vendetta (fu assolta dalla corte, ma credo che le debba esser stata coinvolta - - chi accuserebbe una donna di aver maneggiato una spada contro uomini se on fosse vero?). Vedo anche, Libro di Condanna, numero 24, 1579-82, pagine 17/v-18r/v, per l’inclusione di Bernardino tra quelli assolti.

(25) ACTS, Libro di Querele e Denunzie, non descritti, numero 324 giugno 1611-giugno 1612, pagine 8r/-26/v.

(26) ACTS, Libri Criminale, non descritti, numero 218, 15 marzo 1589/90, pagine 26r/v.

(27) Ibid, numero 167, 15 agosto 1579, pagine 57r/v per questa denuncia. Ci sono altri casi simili.

(28) Questo punto è stato fatto in relazione alle azioni e alle motivazioni delle masse agli inizi dell’Europa moderna. Faccio riferimento specialmente a Natalie Zemon-Davis, “The Rites of Violence,” Society and Culture in Early Modern France (Stanford University Press: Stanford, California, 1975), pp. 152-187; George Rude, The Crowd in History: A Study of Popular disturbances in France and England, 1730-1848 (New York, 1964); E.J. Hobsbawm, Primitive Rebels, Studies in Archaic Forms of Social Movement in the 19th and 20th centuries (Manchester, England, 1959); E.P. Thompson, “The Moral Economy of the English Crowd in the Eighteenth Century,” Past and Present, n. 50, febbraio, 1971.

(29) Sul soggetto dell’onore nella società agli inizi dell’Italia moderna vedi, Peter Burke, The historical anthropology of early modern italy (Cambridge University Press: London, 1987), l’ ”Introduzione,” specialmente p. 10, dove Burkes caratterizza la società italiana come “società tetra”.

(30) Vedi, Nicholas S.Davidson, “An Armed Band And The Local Community On The Venetian Terraferma In The Sixteenth Century,” in Bande Armate, pp. 401-422, per uno studio di un caso interessante. 



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